Carboni attivi

Cos’è il carbone attivo

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Per la rimozione di sostanze organiche ed inorganiche presenti in soluzione vengono utilizzati i carboni attivi, considerati come uno dei più versatili adsorbenti presenti in natura.

La “carbonella”, carbone ottenuto dalla legna, che possiamo definire un antenato del moderno carbone attivo, era già in uso per scopi medicinali ai tempi degli antichi Egizi (2000 a. C.); cenni dell’utilizzo di questi particolari carboni nell’assorbimento di gas nocivi sono stati riportati in letteratura da Scheele (1773 d.C.) e da  Fontana (1777).

Il carbone attivo ha una struttura casuale altamente porosa, con una notevole variazione dell’ampiezza dei pori, essa può andare da piccole fratture a cavità che raggiungono le dimensioni molecolari. È anche descritto come avente una superficie “sgualcita”, in cui le lamiere piane sono rotte e incurvate indietro su sè stesse (figura 2).

Le attrazioni intermolecolari nei pori più piccoli creano le forze di adsorbimento. Queste forze fanno sì che molecole grandi e piccole delle sostanze contaminanti disciolte vengano condensate e precipitino dalla soluzione dentro i pori microscopici. Il carbone attivo è appunto un buon adsorbente perché è provvisto di una estesa superficie sulla quale le sostanze contaminanti possono aderire. Vedremo meglio in seguito come funziona l’adsorbimento nelle sue varie fasi.

Sono disponibili due differenti forme di carbone attivo: in polvere o PAC (Powdered Activated Carbon) e granulare o GAC (Granular Activated Carbon), Nella voce GAC è compreso anche il carbone attivo in pellet (figura 1).

Il primo è aggiunto all’acqua, mescolato per un breve periodo di tempo, e rimosso. L’adsorbimento delle molecole avviene mentre il PAC è in contatto con l’acqua. Il PAC è aggiunto abbastanza presto nel processo di trattamento e poi o sedimenta nel bacino dove avviene la flocculazione o è viene rimosso durante le operazioni di controlavaggio dei letti filtranti.

Il carbone granulare è generalmente usato in letti attraverso i quali passa l’acqua o l’aria destinata al trattamento. Man mano che il GAC procede alla filtrazione, la superficie all’interno dei pori si ricopre gradualmente di sostanze chimiche fino a che il carbone non è più capace di adsorbire nuove molecole. Arrivato a questo punto il carbone “esausto” deve essere rimpiazzato con del carbone vergine.

Carbone attivo granulare (GAC) in diverse pezzature
Carbone attivo granulare (GAC) in diverse pezzature
Struttura amorfa del carbone attivo
Figura 2 – Struttura amorfa del carbone attivo

Come si produce

Il carbone attivo è un prodotto costituito da una struttura carboniosa che, per ossidazione in condizioni controllate, acquisisce un’elevata porosità che si traduce in alta superficie specifica (da 650 a 1000 m2/g); da ciò la proprietà di fissare per adsorbimento specie organiche ed inorganiche.

Una grande varietà di materiali grezzi a base di carbonio minerale o organico può essere usata per ottenere carbone attivo, ma le sostanze maggiormente utilizzate per i carboni sono il legno, residui di legno, bitume, grafite, lignite, torba, gusci di noci di cocco, gusci di palma

È dunque la porosità del carbone attivo che gli conferisce le particolari caratteristiche: tale porosità viene indotta con opportuni procedimenti detti di attivazione. I processi utilizzati per la creazione del carbone attivo sono due:

  1. Attivazione fisica;
  2. Attivazione chimica.

L’attivazione fisica

Il primo caso comprende la carbonizzazione (o pirolisi), ossia la conversione della materia prima in carbone, e l’attivazione vera e propria, cioè l’ossidazione che rende possibile lo sviluppo della struttura interna porosa. La carbonizzazione, condotta a temperature comprese tra 400 e 600 °C e in atmosfera priva di ossigeno, consente la liberazione delle sostanze volatili dal materiale, il che dà luogo ad una struttura altamente carboniosa. L’attivazione vera e propria del materiale così ottenuto viene conseguita nel corso di una fase successiva, condotta a temperature comprese tra 800 e 900 °C e in atmosfera di CO2, aria e vapore acqueo (gas ossidanti); il che dà luogo ad un prodotto carbonioso denominato char, praticamente privo di porosità. L’attivazione viene effettuata in una fase successiva, condotta a temperature comprese tra i 700 e 1100 °C e in atmosfera di CO2, aria e vapore acqueo (gas ossidanti); in tale fase ha luogo la formazione dei pori.

Le principali reazioni responsabili dell’attivazione sono:

  1. a) Reazione con vapore:

C+H2O→ CO + H2

C+2 H2O→ CO2 + 2 H2

  1. b) Reazione CO2:

C + CO2→ 2CO

L’attivazione chimica

Nel caso dell’attivazione chimica, invece, la materia prima viene mantenuta a contatto per un tempo che varia da 5 a 24 ore con ZnCl2 o con H3PO4 ad una temperatura tra 400 e 700°C.

Va evidenziato che nel caso dell’attivazione fisica la temperatura non deve superare i 900°C altrimenti la reazione tra il vapore e il carbone procede solo all’esterno della particella rimpicciolendola, senza la formazione dei pori. D’altro canto l’utilizzo di ZnCl2 nell’attivazione chimica è in pratica abbandonato a causa dell’impatto ambientale della sostanza e dell’inapplicabilità del carbone attivo in alcuni casi dovuta proprio alla presenza dello zinco.

Il carbone attivato chimicamente viene utilizzato principalmente nel trattamento di prodotti farmaceutici, alimentari tipo (succhi di frutta, olio, vino, zuccheri).

Categoria: News

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